Due aspetti della merce: valore d’uso e valore di scambio. Prezzo e valore

171/1 DUE ASPETTI DELLA MERCE: VALORE D’USO E VALORE DI SCAMBIO. PREZZO E VALORE.

171 – LA MERCE ASTRAZIONE 04-02-2009

https://www.youtube.com/watch?v=G9mvFgdWnTY&list=PL336E8F9D03248711

PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.  

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione.   

 

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171/1 DUE ASPETTI DELLA MERCE: VALORE D’USO E VALORE DI SCAMBIO. PREZZO E VALORE.

Stefano Garroni: Dopo che Marx ha distinto – nella merce – il valore d’uso e il valore di scambio, il problema diviene inevitabilmente quello del rapporto tra questi due aspetti della merce. Però noi sappiamo che non si tratta propriamente di due aspetti della merce: Marx dice che sono due Gesichtspunkt, cioè duemaniere di osservare la merce.

Allora il bene, io posso analizzarlo come qualcosa che è utile, ovvero come qualcosa che ha un valore d’uso, che serve a soddisfare un bisogno, o posso analizzarlo come qualcosa che io posso vendere e quindi ha un valore di scambio e posso ricavarne del denaro: la cosa è la stessa e acquista valore d’uso e valore di scambio perché entra in rapporto con una società di merci che si incontrano nel mercato sulla base del modo capitalistico di produzione, ma sulla base di un altro modo di produzione le cose sarebbero diverse, d’accordo?

Ora, qui comincia un gioco complesso, difficile, perché io posso vendere questo bene in quanto per qualcuno è un valore d’uso, serve ad un bisogno, ma quando vado a venderlo ha un prezzo. Il prezzo - teoricamente - equivale al valore economico della cosa, allora questa cosa deve servire ad un bisogno ma corrisponde ad un valore e quindi io debbo venderla ad un certo prezzo.

Vedendo la cosa dall’altra parte, il valore di scambio, il valore della cosa, ha sempre l’aspetto di un valore d’uso, è chiaro? Ha l’aspetto di un valore d’uso, però un libro può essere scritto nel medioevo, nel rinascimento, oggi, con tecniche completamente diverse, ma resta un libro che io uso leggendolo.

Dal punto di vista del valore di scambio invece, l’esistenza di una tecnologia o di un’altra, di un’organizzazione della produzione o di un’altra, di un’organizzazione della distribuzione o di un’altra, cambia la cosa. Per esempio nella società capitalistica io devo andare con del denaro in un luogo, verso il denaro e prendo la cosa. Possiamo immaginare una società che invece non usa il denaro ma usa lo scambio delle cose, possiamo immaginare una società in cui il denaro sia il sale, un’animale, una mucca, un toro, va bene? Possiamo immaginare una distribuzione dei libri che viene pianificata, per esempio una scuola pubblica in cui i libri vengono dati gratuitamente agli studenti.

Quindi sulla base di sistemi di produzione diversi cambia la forma del valore di scambio, ma questo resta sempre un libro, quindi il valore d’uso resta sempre quello, ma cambia la forma del valore di scambio. Mi spiego?

Questo è molto importante per una critica che Marx fa all’economia politica, e questa critica riguarda il modo di costruire le astrazioni. L’economia politica analizza varie epoche economiche e mostra che sempre l’economia significa una materia prima da lavorare, uno strumento per lavorarla e un uomo che la lavora, e quindi dice: “Categorie eterne dell’economia fuori dal tempo sono la materia prima, il capitale e il lavoro salariato”. La scorrettezza, l’errore, sta nel fatto che ha preso si dei caratteri generali ma ha abbandonato le differenze storiche di queste categorie. Ha abbandonato per esempio il fatto che lo strumento per lavorare può essere di proprietà del lavoratore o può essere di proprietà del capitalista, e quindi ci può essere il salario o può non esserci, chiaro?

Quindi badiamo bene, il processo è stato questo: valore d’uso e valore di scambio sono due modi di guardare la merce, e da questi due modi risulta una complessità di rapporto tra l’uno e l’altro modo, che cambia a seconda dell’organizzazione sociale: ci può essere un’organizzazione sociale che distribuisce il valore d’uso senza passare attraverso lo scambio mercantile, il denaro e il valore di scambio per esempio.

Allora il rapporto tra questi due aspetti, tra questi due punti di vista, è dialettico nel senso che è un processo che si svolge in maniere diverse nella storia e in cui avvengono delle modifiche di forme nel senso che per esempio nella società capitalistica il valore di scambio deve avere l’aspetto di un valore d’uso; mentre in una società in cui non ci sia circolazione mercantile, non ci sia denaro, questa necessità non c’è, chiaro?

Allora si tratta di vedere l’economia come un processo che si svolge nella storia, ma che dà luogo a forme, a figure diverse.

 

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Stefano Garroni: E la storia del processo economico sarà la storia di queste forme che si sono andate creando mano a mano, e a queste forme corrisponde un modo di pensare. Appunto questo è un contributo molto importante della scuola francese.

 

 

Io ho detto Eric Weil perché era antinazista, ebreo, scappò dalla Germania, andò in Francia dove partecipò alla lotta di resistenza e fu preso prigioniero dai nazisti, e in tutto questo periodo lui continuava a scrivere. Alla fine della guerra fu liberato, si iscrisse al partito comunista e continuò a scrivere. Però questo vuol dire che io dico Eric Weil con l’accento tedesco, mentre in Francia si dice Eric Wel, e se tu gli parli di Eric Weil nessuno sa chi è.

Per tornare a noi, il fatto che quindi una merce debba iniziare ad avere un valore d’uso per poter essere portata al mercato e acquistare quindi un valore di scambio, significa che in realtà noi dobbiamo pensare la merce come parte di una serie di merci: non esiste mai la merce da sola, ma la merce è sempre dentro un circuito di merci, dentro un circuito di scambi.

Questo significa che la categoria economica merce non è comprensibile se non teniamo presente un’organizzazione sociale che rende possibile una socialità di merci e un ritmo di scambi. Ecco perché è sbagliato dire che accanto all’economia capitalistica c’è l’economia marxista: il marxismo non fonda un’economia, ma critica l’economia, mostrando come la categoria economica – per esempio la merce – sia in realtà un rapporto sociale. Quello che interessa al marxismo è mettere in evidenza che dietro tutte le categorie economiche ci sono rapporti sociali di produzione, cioè uomini collocati variamente nel processo produttivo, con interessi diversi, insomma: riportare l’uomo al centro del meccanismo.

Ed è questa una delle ragioni fondamentali per cui Lenin diceva – lo leggevamo l’altra volta – che “siccome sono cinquant’anni che i marxisti non leggono più Hegel, sono cinquant’anni che non capiscono più Marx”. Dalla morte di Lenin sono passati molti altri anni e si continua a non capire Marx perché si continua a parlare di Marx in termini di economista, quando il suo discorso è contro l’economia nel senso della trasformazione del rapporto sociale in una cosa, è chiaro?

Qui c’è una questione linguistica: negli anni Sessanta, sia in Italia che in Francia vengono fuori film in cui di solito c’era Michel Piccoli, c’era Mastroianni, in cui si parlava dell’alienazione dell’intellettuale. Cioè era un momento, diciamo, alto di critica alla società capitalistica in cui non si vedeva un operaio ma erano tutti intellettuali in crisi, e la crisi di solito ovviamente [includeva] rapporti sessuali ecc., ed è il periodo in cui anche sulla stampa italiana comincia ad essere usato il termine alienazione: “È l’alienazione della società capitalistica”.

Ora – che sia fatto apposta o no – questo è un imbroglio per non far capire, perché in realtà in italiano – ma anche in francese – con il termine alienazione (o aliénation), vengono tradotti due termini tedeschi diversi: Entausserung ed Entfremdung.

Per farvi capire la differenza vi leggo una cosetta di Marx, piccola piccola: “ I valori d’uso delle merci divengono effettivi valori d’uso poiché cambiano tutti e continuamente luogo ” cioè prima stanno in mano per esempio del fornaio che ha fatto il pane, poi stanno in mano al negoziante che lo vende, poi stanno in mano alla persona che lo mangia, quindi effettivamente il pane diventa pane, diventa quindi un oggetto che soddisfa un bisogno in quanto passa attraverso una serie di passaggi: il circolo dello scambio economico.

Allora passano attraverso questi passaggi in cui i valori d’uso sono mezzi di scambio: io ti do i soldi e tu mi dai il pane, se non hai il pane io non ti do i soldi, quindi il pane diventa un mezzo di scambio per te, in modo che io ti dia i soldi, è chiaro?

Solo mediante questa universale alienazione ( Entausserung ) il lavoro contenuto nelle merci diviene lavoro utile ”: è evidente che il pane contiene un lavoro in sé, attraverso lo scambio qualcuno lo mangia e allora finalmente quello diventa effettivamente pane, veramente un valore d’uso, attraverso questo scambio.

Questo processo del passaggio da una mano all’altra, Marx lo indica come Entausserung, e qui non c’è nulla di negativo nel termine, ma è semplicemente il passaggio di una cosa da un luogo all’altro.

 

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